martedì 5 febbraio 2013

Monti: «Al Veneto prometto moralità della politica e appoggio alle piccole aziende»

di Giorgio Gasco

VENEZIA - Arriva in Veneto sull’onda delle polemiche a tre, tra lui, Berlusconi e Bersani. Le stoccate sono ormai raffiche quotidiane, soprattutto con il Cavaliere. Al quale, se promette di diminuire la pressione fiscale restituendo quanto pagato finora di Imu e annunciandone l’abolizione, lui, Mario Monti, risponde definendo l’avversario un «incantatore di serpenti» e addirittura di essere uno «che tenta la corruzione comprando voti».

Presidente Mario Monti, per oltre un anno lei si è impegnato nel salvataggio del paese.
Ora che si dedica alla politica viene identificato come uomo-tassa.
«Io sono convinto che gli italiani non abbiano la memoria corta. Quando sono entrato a Palazzo Chigi, l’Italia era sull’orlo del baratro. Non c’era molto tempo per decidere come tappare le falle. Lo abbiamo fatto con il consenso dei partiti, quegli stessi che ora ci criticano».

Ora annuncia il possibile taglio progressivo delle tasse. Vecchio vizio della politica alla vigilia del voto, effetto annuncio, oppure convinzione da tecnico?«Abbiamo spento un incendio appiccato da altri. E ora gli incendiari dicono agli italiani di prendersela con i pompieri. Ma non funzionerà, gli elettori sanno ricordare e valutare. Con i conti in ordine, avendo allontanato il pericolo della bancarotta, si può ragionare realisticamente sulla riduzione graduale delle tasse. Io non prometto miracoli, né strizzo gli occhi agli evasori fiscali. Qualcuno dei miei competitori lo fa».

Per ottenere consensi, lei deve incidere sulla destra e sulla sinistra. Per catturare gli indecisi sono sufficienti i suggerimenti del guru di Obama, improntati sull’aggressività?«È vero che in campagna elettorale bisogna cercare di far sentire la propria voce. Non credo che questo significhi aggressività. Non è mio costume usare parole forti, malgrado io sia spesso oggetto di veri e propri insulti da parte dei miei concorrenti. Sono stato tacciato di essere la “badante” di Bersani da parte di Vendola, di aver costruito il “governo delle banche” da parte del leader del Pd, oppure di essere ”un piccolo leader” pronto a “prendere ordini in modo supino dalla Merkel” da parte di Berlusconi. Questo per non parlare di Grillo che mi ha paragonato a Mussolini “uomo della provvidenza”. Personalmente non ho mai usato espressioni così colorite. Sarebbe più opportuno abbassare i toni e concentrarci sui contenuti di questa campagna elettorale. Noi puntiamo sull’intelligenza degli italiani, che capiscono il bisogno di cambiamento perché sperimentano tutti i giorni i blocchi, le storture, le lentezze burocratiche che frenano lo sviluppo del Paese. Questo Paese - è sotto gli occhi di tutti - ha bisogno di riforme radicali, non di divisioni vecchie e artificiose».

Il Pd avrà bisogno di lei, ma anche lei del Pd. Non è meglio abbassare i toni e costruire già da ora l’alleanza? O forse lei pensa di rivolgersi al Pdl?«Anche qui, vorremmo dare un taglio a un vecchio modo di fare politica: si parla troppo del “con chi”, e troppo poco delle cose da fare, che sono quelle che interessano ai cittadini. Prima delle alleanze devono venire l’agenda, il programma. Noi corriamo per vincere, poi i ruoli di maggioranza o di opposizione saranno decisi dagli elettori. Ed è chiaro che non saremo mai alleati dei populisti, degli antieuropeisti, di chi vuole dividere il Paese tra nord e sud e di chi frena, in nome di difese corporative, riforme senza le quali l’Italia resta al palo».

Lei è salito in politica con l’intenzione di rimarcare le differenze con i partiti tradizionali. però è sostenuto da Udc e Fli, che tradizionali lo sono eccome.
«I partiti tradizionali, che pur hanno storie antiche e importanti, hanno fatto il loro tempo. Essi sono legati ad interessi costituiti che, seppur legittimi, si oppongono ad un vero cambiamento, a quelle riforme senza le quali l’Italia non risorgerà, perché sono parte indissolubile del sistema che ha prosperato, appunto, grazie ai partiti. Credo che il fallimento della Seconda Repubblica e del sistema bipolare sia compreso ormai da tutti. Scelta Civica ha mobilitato forze nuove della società civile che si sono impegnate per rinnovare l’Italia , malgrado sacrifici a livello personale. È vero che Udc e Fli che fanno parte della coalizione esistevano già come partiti, ma hanno avuto il merito di intuire e denunciare prima di altri la crisi del sistema bipolare, un sistema caratterizzato da un altissimo tasso di scontro personale al limite della brutalità che ha dato scarsissimi risultati per il Paese. Un sistema che ha diviso il paese in fazioni, in tifoserie, quando invece serviva unità e coesione per superare le difficoltà. Inoltre, il Terzo Polo è stato il più coerente sostenitore di tutti i provvedimenti del mio governo, anche quando toccavano interessi di categorie elettoralmente vicine a tale Polo».

Più si avvicina il voto, più sembra che tra lei, Casini e Fini si allarghino le distanze. Insomma, la crescita della sua lista va a scapito di chi la sostiene.
«Probabilmente la novità di una lista civica ha in questo momento un appeal particolare sull’elettorato. Ma i sondaggi non sono le elezioni. Vanno considerati come un’indicazione utile, niente di più. Vedremo dopo il 25 febbraio».

Perché non ha ceduto alle lusinghe di Bersani che le aveva garantito l’appoggio per salire al Colle?
«La mia scelta di “salire” in politica è stata molto sofferta. Ho pensato che sarei stato più utile al Paese realizzando le riforme di cui esso ha bisogno, e quindi esercitando un ruolo politico attivo, piuttosto che mettermi tatticamente da parte in attesa di cogliere chissà quale frutto».

Da senatore a vita, quindi super partes, a politico. Non crede di essere venuto meno all’impegno assunto in Parlamento e soprattutto con il capo dello Stato?
«Il capo dello Stato e il Parlamento mi hanno fatto l’onore di affidarmi una missione difficile, che non avevo sollecitato. Non credo di essere venuto meno a quella missione. Compiuta quella missione, ho ritenuto che avrei tradito il mio Paese, con tutto quello che rimane da fare, se avessi deciso di stare fuori dalla mischia per puntare a salvaguardare il mio personale futuro. Non posso fare a meno di notare, però, un aspetto. Quando ero al governo mi si accusava di essere “tecnico” e di non avere il consenso degli italiani sulle riforme che proponevo. Ora che quel consenso lo chiedo apertamente, mi si critica lo stesso».

Secondo Famiglia Cristiana il 25% dei cattolici praticanti è disposto a votare per lei. Si sente un po’ democristiano?
«Intanto, anche quando c’era la Dc non tutti i cattolici la votavano. È concettualmente sbagliato confondere cattolici e democristiani. La Dc è stata un grande partito, con meriti storici universalmente riconosciuti. Ma è un’esperienza chiusa. Per tornare alla sua domanda: no, non mi sento democristiano».

Quale delle riforme approvate farebbe in modo diverso, "libero" dalla strana maggioranza che ha sorretto il suo governo?
«Se gli italiani mi concedessero la maggioranza, farei riforme più incisive sulla competitività, sull’occupazione e i giovani, che sono state frenate dalla sinistra. Anche sulle riforme della giustizia (penso alla legge anti-corruzione ma non solo), che sono state bloccate dalla destra. Alla riduzione dei costi della politica e delle spese dello Stato si sono opposti tutti, malgrado i miei tentativi. Metterei subito mano alla riforma della pessima legge elettorale, che non assicura la governabilità e espropria i cittadini dal diritto di decidere i propri rappresentanti in Parlamento. Tutti, a destra e a sinistra, ne parlavano male. Ma alla fine non sono riusciti a cambiarla, perché non lo hanno voluto fare».

Tappa in Veneto. Ha deciso quale messaggio lasciare in questa regione?«Moralità della politica, appoggio alle piccole e medie imprese, sburocratizzazione, mercato del lavoro e sviluppo economico, accesso al credito. Infrastrutture e attenzione al sociale, un federalismo serio e vero, compatibile con l’unità nazionale. Il Veneto è una locomotiva dell’economia italiana, con una capacità di intrapresa tra le più alte del mondo. Produce eccellenze che tutti ci invidiano. Dobbiamo metterlo in condizione di riprendersi. Ma con proposte serie, non con le promesse disattese di Pdl e Lega degli ultimi anni. I veneti sono persone che lavorano e si sacrificano. Sono stati traditi non da Roma, ma da chi hanno mandato a Roma».

Bombassei capolista in Veneto; patron di una grande impresa, in una regione dove dominano le partite Iva e per giunta non veneto.«Mi risulta sia nato a Vicenza e che abbia sviluppato la sua azienda partendo da uno scantinato con pochi operai. Ha creato un’eccellenza mondiale a Bergamo. Il percorso che ha seguito è comune a tantissimi imprenditori del Nordest, fatto di sacrifici, innovazione, investimenti. Bombassei ha tutte le carte in regola per rappresentare al meglio le esigenze delle imprese, specialmente del Veneto: le conosce, le appoggia, sa ciò che vogliono. E in termini di credibilità personale, per storia e formazione, è una garanzia. Anche per le partite Iva che lei cita».

I governi precedenti hanno impegnato i fondi esclusivamente per il Mose. In caso di vittoria, lei continuerà in questo modo, oppure...«Il Veneto ha bisogno delle infrastrutture, così come il Paese. Non ci si può limitare al Mose. Ma ci sono anche vincoli di bilancio. Credo che ci dovremo concentrare su pochi progetti e realizzarli con certezza dei tempi».

Durante il suo mandato c’è mancato un passo per definire il taglio delle Province e la costituzione della città metropolitana di Venezia da allargare a Padova. Ma Udc, Pdl e Lega si sono opposti.«Purtroppo le resistenze sono state talmente tante che non abbiamo potuto approvare i provvedimenti che volevamo. Vedo però che nel programma di Pdl e Lega si ripropone il taglio delle province, quando la Lega, insieme al Pdl, ha fatto di tutto per non cancellarle. Serve una riforma organica delle istituzioni e degli enti locali, province, piccoli comuni, comunità montane, rivedendo compiti e finalità, e penso che nell’orizzonte dei cinque anni si possa fare, senza creare disparità e squilibri».

Il governo Pdl ha puntato sul Passante di Mestre. Lei quali altre infrastrutture considera necessarie per Veneto e Nordest in generale?
«Considero strategica la Tav, un’infrastruttura fondamentale per la pianura Padana e per l’intero corridoio europeo numero 5. Ci sono stati in questi anni problemi di tracciato e di fondi, polemiche a non finire e scarsa concretezza. Ma credo che il governo futuro dovrà dare risposte precise in questo senso».

Federalismo. Dalla sua Agenda è assente. Finora, più che federalismo abbiamo assistito al taglio di risorse e poteri delle autonomie locali. Come rispondere alla richiesta di autonomia che continua a venire da Veneto e Nordest?
«Il federalismo è oggi in crisi per via di una cattiva predicazione del federalismo. In un recente sondaggio, le riforme federali sono cadute agli ultimi posti nei desideri degli italiani, anche di quelli del nord. I perché sono sotto gli occhi di tutti: le Regioni dovevano essere un modello di efficienza e buona politica e sono diventate dei centri di sprechi, di clientele e, talvolta, di corruzione. La verità è che bisogna battersi per un federalismo moderno, funzionale, che crei ponti e sinergie e non anacronistiche contrapposizioni. Nel grande mare della competizione mondiale serve fare sistema, creare sinergie, lavorare insieme. Facendo della diversità territoriale una forza e non una debolezza. Il Veneto – e i piccoli e medi imprenditori, gli artigiani, i commercianti lo sanno – ha bisogno di autonomie forti, efficienti e responsabili in una nazione coesa e rispettata nel mondo».
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